Utilizzare le parole tramandate dai grandi Maestri è il modo migliore per diffondere la conoscenza dello Yoga e non correre il rischio di alterare l’autenticità del messaggio originario.

Yogas citta vrtti nirodhah.

Patanjali - Yoga Sutra - I.2
Lo yoga è la soppressione delle modificazioni della mente.

Patanjali riesce a racchiudere in 3 parole il denso significato del termine yoga che rappresenta un cammino lungo, impegnativo e costante che coinvolge interamente l’individuo con il corpo fisico e grossolano, la mente e il corpo sottile, per giungere agli aspetti spirituali più elevati.
Lo Yoga è un percorso di conoscenza di sé, di trasformazione interiore per arrivare alla profonda ed autentica conoscenza di se stessi, è una pratica che richiede capacità di ascolto.
Ascoltare è un processo che si apprende, in condizioni ordinarie può risultare difficile soffermarsi su una particolare situazione o su una sensazione, sfugge alla consapevolezza la stretta relazione e la fitta connessione tra Corpo-Mente-Spirito. Solo con un esercizio costante e continuativo si può imparare la stabilità, la continuità e la profondità dell’ascolto.
Il percorso descritto negli Yoga Sutra da Patanjali, ha lo scopo di fornire tecniche accessibili a tutti e di spiegare i processi che portano l’individuo ad elevare la propria consapevolezza partendo dalla percezione del proprio corpo per passare all’esplorazione della mente ed arrivare a trascenderla con la meditazione.
Il sentiero dell’Asthanga Yoga o Raja Yoga spiegato da Patanjali è composto da 8 parti:

1 - Yama

astinenze, che hanno la funzione di armonizzare le relazioni interpersonali e che rappresentano la base etica di ciascun praticante, da osservare con i pensieri, le parole e le azioni.
Ahimsa = non violenza
Satya = astenersi dal mentire, ricerca della Verità, assoluta negazione dell’illusione.
Asteya = non rubare
Brahamacharya = castità
Aparigraha = non possessività, non attaccamento.

2 - Niyama

osservanze di tipo disciplinare e costruttivo, sostengono il praticante nell’organizzare e armonizzare la vita e la pratica yoga.
Saucha = purezza
Samtosha = appagamento, accontentarsi (che non significa inerzia o mancanza d’iniziativa ma è una condizione mentale positiva e dinamica).
Tapas = sforzo, autodisciplina.
Swadhyaya = studio di Sé
Ishvara pranidhana = abbandono totale al Supremo. Liberarsi dal condizionamento dell’Ego.

3 - Asana (armonizzazione del corpo)

4 - Pranayama (regolazione del Prana utilizzando il respiro)


5 - Pratyhara (ritrazione dei sensi dagli oggetti; isolamento sensoriale)


6 - Dharana (concentrazione della mente in un unico punto)


7 - Dhyana (meditazione)


8 - Samadhi (consapevolezza)

Asana è la prima fase “di pratica attiva” di questa educazione all’ascolto. Questo termine sanscrito è di solito tradotto con “postura” per indicare le varie posizioni che si assumono durante una pratica di Yoga. Tuttavia, il modo in cui Patanjali definisce Asana ci rimanda alla relazione che intratteniamo con il corpo, con i muscoli e le sensazioni, piuttosto che alle “forme” che possiamo assumere. Siamo invitati a stabilire una particolare qualità di relazione con il nostro corpo, qualunque sia la postura che stiamo eseguendo. E proprio questa qualità di relazione distingue le Asana da un esercizio ginnico.
“Sthira sukham asanam”. ( Patanjali - Yoga Sutra - II.46)
“Asana è essere fermamente stabili in uno spazio di benessere”


 Due i termini che compongono questo aforisma di Patanjali:
-  Stira indica una condizione di stabilità resa possibile da un ascolto privo di irrequietezza e che non mira a ottenere qualche risultato in breve tempo; una condizione in cui si “abita” in modo pieno il proprio corpo.
- Sukham rinvia al sentimento che accompagna la nostra azione quando è rilassata, a un senso di giustezza e di contentezza, un sentirsi a proprio agio.
I due termini in sanscrito sono uniti per comporre una sola parola, al fine di indicare un modo d’essere del praticante che non cerca di perseguire ora uno ora l’altro aspetto, ma trova una qualità di relazione e di ascolto che fonde i due termini insieme e li rende operanti all’unisono, nello stesso tempo.
 Durante la pratica di Yoga le forme cambiano, le posizioni si succedono, ma la qualità della presenza è il filo conduttore che tutto unisce e permette a ognuno di scoprire, in modo personale e diretto, come non sia il movimento a operare la trasformazione interiore, bensì la qualità dell’ascolto che lo accompagna.
Il movimento e le posture rendono evidente che nel nostro corpo coesistono zone chiare e zone più oscure che non riusciamo a raggiungere facilmente mediante un’indagine cosciente; di norma tendiamo a muoverci e praticare utilizzando prevalentemente le nostre parti chiare, ignorando o utilizzando solo in parte le aree corporali che avvertiamo con fatica o che non arriviamo più a localizzare. Uno dei primi compiti delle Asana è proprio quello di rendere evidenti gli effetti della consapevolezza sulla nostra struttura nervosa e muscolare, inoltre, attraverso le Asana sperimentiamo cosa significa stare in uno spazio senza irrequietudine e senza preoccupazioni, ci scopriamo capaci di respirare con calma e che con calma siamo in grado di stabilire relazioni di ascolto, con il nostro corpo, con il nostro respiro e con le nostre emozioni.
Il passo successivo è sperimentare come l’ascolto del respiro sia un veicolo prezioso che ci guida nei territori dell’interiorità fino alla conoscenza intima del Sé.

Dunque nel percorso del Raja yoga illustrato da Patanjali, il Pranayama può rappresentare il volano che imprime l’energia al cammino verso la consapevolezza, le Asana preparano il corpo e disciplinano il respiro, per poi essere in grado di proseguire con il Pranayama che facilita l’acquietarsi dei sensi e con la pratica graduale e costante, la mente si calma ed è in grado di concentrarsi stabilmente su un unico oggetto.
L’essenza del Raja yoga descritta da Patanjali è rappresentata dagli ultimi 3 Anga che sono i processi mentali della Dharana, del Dhyana e del Samadhi (definiti lo yoga interiore) ma non dobbiamo sottovalutare i primi 5 Anga attraverso i quali ognuno ha l’opportunità di raggiungere le condizioni essenziali che vanno comunque prodotte (anche mediante altre pratiche e altri sentieri yoga) per poter accedere ai livelli più elevati. Ed il Pranayama rappresenta l’elemento che affina le nostre capacità di percezione interiore.
Lo stesso concetto in merito al Pranayama lo ritroviamo nel testo Hatapradipika che descrive l’ Hatha Yoga:
“Lo yogi, che ha raggiunto la perfezione delle asana, deve praticare il pranayama secondo i consigli del guru, mantenendo i sensi sotto controllo e osservando sempre una dieta nutriente e moderata”. (Hathapradipika 2.1)
“Quando il respriro (vata) è irregolare la mente è instabile, quando il respiro si ferma anche la mente diviene calma e lo yogi raggiunge l’immobilità assoluta. Per questo si deve trattenere il respiro. (vayu)” . Vata e Vayu sono sinonimi di prana e fanno riferimento all’aria che entra ed esce durante la respirazione. Gli antichi Yogi erano consapevoli che dietro all’attività visibile della vita, se ne svolgeva un’altra non visibile che ne costituiva il fondamento. (Hatapradipika 2.2 e2.3).
HATHAPRADIPIKA di Svatmarama (testo sull’Hatha Yoga che risale all’incirca al 1350 d.C. afferma che la pratica del Pranayama è considerata come un elemento essenziale all’interno dell’Hatha Yoga (Ha significa “sole o energia vitale calda” e THA significa “Luna o energia vitale fredda” perciò lo Hatha è l’unione nella Sushumna (Nadi localizzata nella colonna vertebrale) delle due correnti energetiche della forza vitale (Prana).

In questo testo gli elementi indicati come componenti delll’Hatha Yoga sono:
Shat-Karma (tecniche di purificazione del corpo, in particolare delle parti del corpo che sono a contatto con l’esterno: le narici, la trachea, lo stomaco, il tratto finale dell’intestino)
Asana
Pranayama
Mudra
Nadanusandhana (meditazione sul suono “Nada” interiore)
Kundalini-prabodham

Dalla mia esperienza, osservare e prendere consapevolezza del proprio corpo in ogni suo più piccolo dettaglio e della presenza del proprio respiro, il rendersi conto ad un certo punto, come per una magica intuizione, della loro presenza umile e discreta ma irrinunciabile ed essenziale alla nostra stessa vita, mi ha dato la sensazione di spalancare una porta d’accesso a conoscenze più vaste ed emozioni profonde.

Rendersi consapevoli di quanto il respiro svolga funzioni peculiari e qualificanti all’interno della nostra vita personale e sociale, evidenziare che oltre alla sua funzione fisiologica di portare ossigeno alle cellule ed espellere le tossicità dal nostro corpo, è lo strumento che fa vibrare le nostre corde vocali caratterizzando la nostra voce ed il linguaggio che ci relaziona, ci consente di esprimere ed affermare noi stessi nella società, il respiro è uno strumento a disposizione della nostra mente per soddisfare il nostro desiderio di relazionarci, è anche lo strumento che ci porta alla scoperta del suono e della varietà delle frequenze abbinate a varie sonorità in grado di predisporci a percepire emozioni irrinunciabili, il respiro fa vibrare le nostre corde vocali, modulate dalla nostra mente, regista della nostra personale sinfonia che ogni istante decidiamo di condividere o meno con chi ci circonda. Il respiro è il nostro suono interiore che percepiamo solo se ci predisponiamo al suo ascolto ed il Pranayama è il mezzo che ci mette in relazione diretta con la nostra essenza e solo con il suo tramite possiamo accedere alla realizzazione della nostra vera natura.

Ho voluto approfondire la conoscenza delle tecniche dello Yoga e del Pranayama attraverso lo studio di testi classici dello yoga e testi di autorevoli maestri dello yoga moderno, che mi hanno proiettato, partendo dal piano grossolano della materia che può essere osservata direttamente, all’interno di un’importante percorso ontologico che culmina nella meditazione e nel Samadhi a cui potenzialmente tutti possiamo accedere e che tutti possiamo sperimentare in prima persona, ma l’inizio del percorso richiede, a mio avviso, un vero e proprio atto di fede ed uno sforzo costante per mettersi in gioco e praticare i semplici ed antichi insegnamenti dei Maestri.

Lo studio dello Yoga e del Pranayama apre allo sguardo orizzonti più alti ed appaganti che modificano sensibilmente il proprio pensiero ed il proprio agire, non si può rimanere indifferenti alle grandi possibilità offerte da una tecnica, tutto sommato semplice ed accessibile a “tutti gli uomini di buona volontà” . La scienza moderna ed i moderni mezzi di indagine e di diagnosi ci hanno dato spesso riscontro di quanto gli antichi Yogi hanno sperimentato e tramandato a noi. La moderna Psicologia utilizza molte delle tecniche descritte negli antichi testi dello yoga, passando dal training autogeno alla più recente Mindfullness, per passare ai vari programmi motivazionali (PNL) e alle terapie cognitivo-comportamentali messe a punto per risolvere patologie riconducibili all’ansia . Ma mi sorge la domanda, non sarebbe più semplice riprendere in mano gli antichi testi e dedicarsi allo studio di sé ed alla sperimentazione di emozioni appaganti che possano accompagnarci all’essenza del nostro essere? Il risultato promesso è la libertà da ogni limitazione, compresa la limitazione del concetto di IO.

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